Piccolo manuale di autodifesa finanziaria

 

LA CROCE DEL SUD
Cosa può essere fatto per renderla più sopportabile

E’ facile pensare ad esempi di Nazioni europee che hanno problemi con le loro regioni. Possiamo pensare alla Spagna, con le aspirazioni d’indipendenza da parte dei baschi e dei catalani; alla Germania, con la Baviera aggressivamente autonoma e con un est depresso; probabilmente alla Francia, con la Corsica e altre piccole zone con idee d’indipendenza. Ma l’Italia raramente appare nella lista; infatti non soffre di serie ed aggressive idee di separatismo; perfino il progetto della Lega Nord su una scissione della “Padania” è solo un modo per richiedere un maggior decentramento regionale, più che una volontà d’indipendenza. Tuttavia, l’Italia ha un problema regionale che è, in qualche modo, più serio rispetto al resto d’Europa: il sud, o mezzogiorno, con la sua preoccupante economia.
Le regioni italiane hanno ricevuto significativi e sostanziali poteri extra budget (soprattutto per l’assistenza sanitaria) negli ultimi dieci anni, in gran parte in risposta alle richieste della Lega Nord. Le città hanno eletto sindaci, alcuni dei quali, come Walter Veltroni a Roma, sono figure nazionali. Il Governo recentemente ha introdotto una serie di cambiamenti costituzionali, ora approvati da entrambi i Rami del Parlamento, per dare ancora più poteri alle regioni sulla questione dell’educazione e dei servizi sociali.
Questo è considerato il più grande cambiamento, in 50 anni, della Costituzione italiana. Ma l’opposizione di centro-sinistra è contraria e, per questa misura, è obbligatoria l’approvazione in un referendum, che si terrà probabilmente dopo le prossime elezioni. Inoltre, questo non riesce a regolare ciò che, in qualsiasi decentramento del potere, è sempre stato l’aspetto più delicato: i soldi. Le regioni e le province controllano alcune tasse e una tra le più importanti è l’IRAP, una forma di imposta locale sul valore aggiunto dell’azienda, di legalità discutibile alla luce dei trattati della UE e che deve essere abolita. Attualmente, una buona parte dei soldi delle regioni continuerà ad arrivare dalle sovvenzioni del governo centrale. Questa è la ricetta giusta per andare incontro a duplicazione, spreco e spese inspiegabili e ciò potrebbe rendere ancora più difficile controllare le già precarie entrate pubbliche dell’Italia. Ciò nonostante, se progettato ragionevolmente, un maggior federalismo sarebbe una cosa positiva in un Paese così frammentato che è stato unificato meno di 150 anni fa. Il Piemonte e il Veneto si sentono completamente diversi dalla Puglia o dalla Sicilia. Il federalismo inoltre soddisfa la Lega Nord e i suoi sostenitori, anche se non sarà molto a favore del Mezzogiorno. I due grandi problemi del sud d’Italia sono il debole andamento dell’economia, troppo dipendente dal settore pubblico, e la diffusione della corruzione e del crimine organizzato. Questi non possono essere risolti semplicemente dando maggiore autonomia alle regioni. Sotto molti punti di vista, l’Italia, una volta divisa in molte nazioni, ora è divisa in due: i 37 milioni di abitanti del nord che vivono in buone condizioni economiche e i 20 milioni di abitanti molto più poveri che vivono al sud.

In cerca di un rimedio
Nel corso degli anni, molte cure sono state prescritte per aiutare l’economia del meridione. La prima è stata l’emigrazione: un numero sproporzionato di emigranti alla fine del XIX sec. e all’inizio del XX sono emigrati dal sud. Un elevato numero di abitanti del sud si è trasferito al nord per lavorare nelle nuove fabbriche e nei nuovi stabilimenti automobilistici. Ma, sebbene l’emigrazione produca il flusso delle rimesse in denaro, essa può sposta alcuni tra i più brillanti ed energici lavoratori e non contribuisce a creare una dinamica economia nel paese d’origine.
Ad ogni modo, il sud ora deve affrontare un altro problema legato alla migrazione, che è completamente diverso: l’enorme numero di immigranti illegali che cercano di entrare nel Paese dall’Africa del nord attraverso il Mediterraneo. Molti arrivano su barche fatiscenti, sperando di approdare sulle isole di Lampedusa o Pantelleria. L’Italia è molto meno abituata ad occuparsi d’immigrazione, sia legale che illegale, rispetto alla maggior parte delle altre Nazioni europee; per molti anni, la nostra Nazione ha lasciato entrare molte persone abbastanza liberamente, pensando che la maggior parte di loro sarebbe stata semplicemente di passaggio, prima di arrivare alla loro destinazione finale, la Germania o qualche altra parte nell’Europa del nord. Ma come membro del gruppo Schengen, che non prevede confini, l’Italia è stata costretta ad irrigidire i controlli, soprattutto al sud. Ironicamente, ciò accade proprio nel momento in cui la popolazione sta diminuendo e dovrebbe- come anche il resto d’Europa –avere più immigranti.
Il secondo tentativo per curare i problemi economici del sud è arrivato sotto forma di investimento nelle fabbriche, spesso di proprietà dello Stato. Tra queste rientrano le gigantesche fabbriche chimiche e dell’acciaio, lo stabilimento automobilistico Alfa Sud, i cantieri per la costruzione di navi e altri ancora. Questi impianti sono conosciuti come “cattedrali nel deserto”. Hanno sofferto di bassa produttività, merci di bassa qualità e costi relativamente elevati, come anche di una crescente concorrenza da parte delle altre Nazioni. Molti soni stati chiusi negli ultimi trenta anni.
La terza scelta è stata quella di incoraggiare le piccole imprese a nascere o muoversi al sud, al fine di riprodurre il successo che hanno avuto al nord. La regione intorno a Napoli, in particolare quella intorno al Vesuvio, è ricoperta di piccole compagnie tessili, molte delle quali ricordano le aziende asiatiche che sfruttano i lavoratori.
Più a sud, la Basilicata ha molti piccoli mobilifici. Ma l’intero Mezzogiorno risente della concorrenza cinese a basso costo. E questa non è una regione famosa per il forte spirito imprenditoriale o per un mercato del lavoro flessibile. Uno dei motivi per cui la disoccupazione è così elevata è che i salari sono stabiliti a livello nazionale, quando dovrebbero essere molto più bassi al sud. In una regione che ha poco rispetto per la legge, c’è anche molta economia clandestina.
Comunque, non tutto è perduto; Gianfranco Miccichè, ministro italiano per il Mezzogiorno, cita le relazioni dell’OCSE e del FMI che hanno dimostrato come la pubblica amministrazione nel sud stia migliorando. Afferma inoltre che il divario della disoccupazione con il nord si sta riducendo: nel 2001, la disoccupazione al sud era del 21%, sostiene, ma da allora è scesa al 14%. Nello stesso periodo, aggiunge, il prezzo di acquisto dei fondi regionali disponibili nella UE è cresciuto, passando da un irrisorio 14% a quasi un 100%. Le regioni orientali stanno andando meglio di quelle occidentali. I problemi maggiori sono concentrati nelle regioni Campania, Calabria e Sicilia.
Il sud non è privo di industrie e città di successo. Il sindaco di Napoli, Rosa Russo Jervolino, riconosce che la città ha risentito della perdita di industrie di fondamentale importanza durante l’ultimo decennio, ma punta all’industria aerospaziale e all’alta tecnologia come aree di crescita. La università di ingegneria di Napoli ha una buona reputazione. La Jervolino ammette che l’immagine di Napoli ha bisogno di una “rivitalizzazione”, ma il risanamento iniziato nel 1994 dal suo predecessore, Antonio Bassolino, sta continuando. Le infrastrutture stanno migliorando e l’economia locale si è ripresa dal quasi crollo della banca più grande della città, il Banco di Napoli, che fa parte ora della San Paolo IMI.
Due secoli fa, Napoli era una delle più grandi città d’Europa e capitale di un regno fiorente (da qui il famoso Banco di Napoli). La sua posizione ai piedi del Vesuvio è spettacolare, il suo museo archeologico visitato da tutto il mondo e il teatro lirico San Carlo è il più vecchio d’Europa. Non dovrebbe essere difficile per Napoli superare le altre città simili del Mediterraneo, come Barcellona, dal punto di vista del turismo e come sito su cui investire. Tuttavia Barcellona, promossa grazie alle Olimpiadi del 1992, ha oscurato Napoli. Bassolino, ora Presidente della Regione Campania, ha dato molta importanza al summit dei G7 che ha avuto luogo nella città nel 1994, ma questa eredità non è durata a lungo. Napoli potrebbe essere scampata al profondo pantano in cui si era trovata 15 anni fa, ma la città ha ancora molto da fare per rimettersi in carreggiata.
Probabilmente il problema più grande risiede nella cattiva reputazione che ha a causa della criminalità  e della corruzione. L’anno scorso è stata colpita da un’ondata di omicidi imputabili alla droga e all’ambiente della malavita. Nonostante la Polizia abbia arrestato questo fenomeno, la Camorra (che è la versione napoletana della Mafia) rimane molto potente. E’ cresciuta a causa dei soldi che sono stati inviati a Napoli come aiuto in seguito al terremoto del 1980. Se vuoi sapere perché le strade di Napoli e quelle che salgono verso il Vesuvio sono ricoperte di sporcizia, la risposta è da ricercarsi nella criminalità organizzata.
E la Camorra non è da sola. La Calabria ha anche la ‘Ndrangheta che, a detta di tutti, è la più dura e difficile da penetrare tra i gruppi criminali del sud. Si pensa sia responsabile dell’assassinio del Presidente della Regione avvenuto lo scorso mese, sebbene il reale motivo non sia ancora stato scoperto. Berlusconi è stato fortemente criticato per la sua incapacità di pronunciarsi chiaramente contro l’attacco o per non aver partecipato al funerale. Sia il Presidente dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, che il leader dell’opposizione, Romano Prodi, erano presenti.

Cosa Nostra all’opera          
E poi c’è la Mafia in Sicilia. Tra tutti i gruppi del crimine organizzato in Italia, è la Mafia quello che ha sfidato di più lo Stato negli ultimi 20 anni. Questa sfida è stata parzialmente vinta, grazie al coraggio di una serie di magistrati di Palermo impegnati e zelanti nel loro lavoro. Molti grandi mafiosi sono stati condannati e incarcerati, spesso sulla base di confessioni rilasciate dai pentiti, ex membri della Mafia che hanno sostenuto le prove dello Stato. Tuttavia il prezzo è stato spaventoso. Fuori dalla Corte di Giustizia a Palermo c’è un monumento commemorativo dei 12 magistrati siciliani che sono stati assassinati dagli anni ’80. Un ex Primo Ministro democristiano, Giulio Andreotti, è stato processato ma non condannato per l’accusa di complicità con la Mafia; la Corte d’Appello ha dichiarato che l’accusato era stato semplicemente “amichevole” con essa. Marcello Dell’Utri, un collega stretto di Berlusconi, coinvolto personalmente nella creazione di Forza Italia, è stato incarcerato per lo stesso reato, sebbene sia ricorso in Appello. I Magistrati di Palermo ritengono che la Mafia, che si era indebolita alla fine degli anni ’90, si sia rafforzata negli ultimi quattro anni, in parte perché Berlusconi e i suoi amici hanno indebolito il lavoro della magistratura.
La Mafia certamente si aggiunge al costo che si deve sostenere per aprire un’attività. Tuttavia, come in qualsiasi altro posto del Mezzogiorno, l’economia e l’elevata disoccupazione rappresentano le sfide più ardue. Secondo quanto sostiene Pietro Busetta, un economista di Palermo, la Sicilia ha 5 milioni di abitanti, ma solo 1 milione lavora, confermando il generale problema meridionale (e italiano) di un tasso di partecipazione nella forza lavoro troppo basso. Busetta fa molto affidamento sul progetto, recentemente approvato dal governo Berlusconi, che prevede l’inizio dei lavori del tanto discusso ponte sullo stretto di Messina, che collega la Sicilia con la Calabria. Alcuni critici lo vedono come un lavoro inutile che, principalmente, porterà beneficio ad alcune grandi imprese di costruzione e, senza ombra di dubbio, alla Mafia e alla ‘Ndrangheta.
Una cosa su cui la Sicilia dovrebbe concentrarsi di più è il settore turistico. L’isola dovrebbe essere considerata il gioiello del Mediterraneo: offre un clima superbo, uno scenario meraviglioso, un vulcano attivo, deliziose spiagge ed eccellenti cibi e bevande. Il suo ricco patrimonio culturale varia dai templi greci straordinariamente conservati nel tempo e i teatri di Segesta, Agrigento e Taormina, alla bellezza barocca di Catania e Noto. Perfino la tradizione della Mafia potrebbe essere in grado di attirare turisti in posti come Corleone. Eppure, lamenta Busetta, la Sicilia ha molti meno turisti di Ibiza, e circa lo stesso numero di Malta.
La Sicilia è un paradigma di ciò che va male nel Mezzogiorno e, in verità, in tutta la Penisola. Ha un gruppo di high-technology vicino a Catania e alcune buone università; ma il settore turistico e l’intero servizio culturale sono sottosviluppati. Lo stesso vale per il sud; una regione che quantomeno dovrebbe ricavare gli stessi benefici che ha ricavato la Spagna in seguito al boom del turismo europeo negli ultimi 40 anni. In un modo tipicamente italiano, il nostro Paese ha palesemente fallito nell’esprimere al massimo le sue capacità. 

 

RIFORMARSI O MORIRE
Sta aspettando una crisi l’Italia per darsi una mossa?

Può riformarsi l’Italia, o è un Paese destinato a tramontare? E’ sempre pericoloso proiettare una tendenza di lungo periodo basata su alcuni anni di rendimento negativo (o positivo). Sia il Giappone che la Germania, una volta visti come inarrestabili e poi, non molti anni dopoin difficoltà, ora sembrano pronti per risollevarsi; e lo scarso rendimento della Gran Bretagna nel dopoguerra è stato dimenticato nell’euforia degli ultimi 15 anni. I problemi dell’Italia sono profondamente radicati come in nessun altro caso: la crescita potenziale ha rallentato circa venti anni fa, e la situazione demografica è apparsa statica per molti anni.
Ma il tempo può essere un buon guaritore. A lungo andare, il talento naturale degli italiani, la loro inventiva e creatività dovrebbero bastare per salvare ciò che è ancora una nazione ricca in ogni senso. Dopotutto, qui è dove è cominciato il capitalismo europeo, accompagnato da un sistema bancario moderno e da una contabilità sistematica. L’eccesso di imprese di piccole dimensioni e la mancanza di grandi compagnie potrebbe sembrare una debolezza in questo momento, ma non è da escludere che in futuro possa rappresentare di nuovo un vantaggio, garantendo flessibilità per far fronte al cambiamento.
Tuttavia, nel breve termine, esistono buoni motivi per essere pessimisti nei confronti dell’Italia. Come nel resto della zona euro, solo in misura maggiore, il Paese ha disperatamente bisogno di riforme strutturali per liberalizzare i mercati, introdurre maggiore concorrenza e dare una scossa al sovrabbondante, inefficiente e talvolta corrotto settore pubblico. La svalutazione ufficiale della moneta per arginare una competitività che si sta deteriorando non è più un’opzione valida, e la vulnerabilità delle piccole industrie manifatturiere alle importazioni a prezzi più bassi dall’Asia, e soprattutto dalla Cina, è diventata dolorosamente evidente.
Per affrontare simili problemi strutturali, la coalizione di centro-destra di Berlusconi non ha fatto assolutamente abbastanza per sistemare le cose. Sfortunatamente, anche se il centro-sinistra sotto Romano Prodi vincerà le elezioni del prossimo aprile, cosa che sembra probabile ma per niente certa, anche questo scoprirà che le riforme avranno difficoltà a superare alcuni tra i piccoli partiti più restii all’interno della sua coalizione, per non parlare di tutti gli intrecciati interessi particolari dell’Italia.
In un certo modo, le cose devono peggiorare ancora per poi migliorare. Giuliano Amato, un prudente politico di centro-sinistra, che ha ricoperto la carica di Primo Ministro all’inizio degli anni ’90 e di nuovo nel 2000-01, sostiene che “La coordinazione dei tempi è una variabile essenziale nelle questioni economiche”. Durante il suo primo mandato, è riuscito a far approvare a fatica un bilancio preventivo molto rigido, abbattendo la spesa e riducendo drasticamente il deficit, perché l’esclusione dell’Italia dal meccanismo europeo sul tasso di cambio nel settembre del 1992, aveva messo tutti d’accordo sul bisogno di adottare misure rigide. Questo bilancio preventivo ha gettato le fondamenta per le misure introdotte dal Governo di Prodi del 1996-98 che servivano ad assicurare, fin dall’inizio, la partecipazione dell’Italia all’euro.
Il Prof. Monti all’Università Bocconi propone una conclusione simile. Secondo lui, i governi italiani possono prendere decisioni difficili, ma solo se sussistono due condizioni: devono esserci sia segni visibili di emergenza, sia forte pressione dall’esterno. Negli anni ’90, l’emergenza era la posizione fiscale sui tassi d’interesse e il tasso di cambio; la pressione esterna è scaturita dal desiderio di entrare nell’euro.
Ora, sostiene Monti, tale momento di verità sta venendo meno. L’Italia sta soffrendo di una crescita lenta e di un deterioramento costante della competitività, ma entrambi sono cominciati molto prima che il Governo Berlusconi entrasse in carica. Riguardo alla pressione esterna, la Banca Centrale Europea, la Commissione Europea e i mercati finanziari stanno facendo del loro meglio per applicarne un po’. Ma l’entusiasmo italiano per gli affari europei si è raffreddato notevolmente, e l’appartenenza all’euro ha sortito l’effetto sbagliato di disperdere alcuni tra i segnali del mercato che, al contrario, avrebbero potuto far pressione su un cambiamento.
L’Italia dovrebbe guardare a quelle Nazioni che hanno introdotto riforme con successo, e non solo la Gran Bretagna. Un caso ancora più significativo nel Mediterraneo è la Spagna. Trenta anni fa, l’idea che la Spagna, timidamente emersa dall’era di Franco, potesse rappresentare un esempio per l’Italia, sarebbe sembrata una cosa ridicola. L’economia spagnola è ancora povera rispetto a quella italiana, e il tenore di vita è più basso, ma si sta avvicinando rapidamente. Il Governo Socialista di José Luis Rodriguez Zapatero, che è salito al potere nel marzo del 2004, non ha perso lo slancio delle riforme economiche ereditato dal suo predecessore di centro-destra.

Il miglioramento in Spagna
Anche la finanza pubblica della Spagna è più in salute di quella dell’Italia, che è il motivo per cui la Spagna ha potuto permettersi impressionanti investimenti nelle infrastrutture come, la ferrovia ad alta velocità per Siviglia, o il fiorente aeroporto di Madrid (che è più grande di qualsiasi aeroporto in Italia). Le più grandi società spagnole, come per esempio le sue due banche più grandi e Telefonica, hanno costruito una presenza globale più solida rispetto alle pari aziende italiane. Le differenze tra le due Nazioni sono chiare perfino ad un visitatore di passaggio. A Madrid e Barcellona c’è quel leggero stato di ottimismo che spesso sembra mancare a Roma e Napoli. Quando il Museo Guggenheim di New York era alla ricerca di un nuovo avamposto, una scelta naturale sarebbe stata Venezia, che già aveva una galleria di Peggy Guggenheim. Ma questa ha perso anni per scegliere il posto, così l’occasione è stata afferrata da Bilbao, nella regione basca della Spagna. L’Italia non è sul punto di essere superata dalla Spagna. Ma se vuole rimanere in testa per molto tempo, ha bisogno di leader politici più coraggiosi che siano pronti a prevalere sull’opposizione per riformare il Paese, anche in assenza di una crisi immediata. Alla fine de “I Pagliacci”, l’opera sul verismo di Leoncavallo sulla Sicilia degli anni ’70, Canio il pagliaccio, che ha appena pugnalato a morte sua moglie e la sua amante, conclude con:”La commedia è finita”. E’ tempo che anche l’Italia diventi seria.


Traduzione di Paola Zucal di articolo apparso su Economist  (A special report on Italy) in data 26 novembre 2005.
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